Tutti parlano di ansia, la forma di malessere dominante nella società odierna.
E’ un “mondo scomodo” che insorge nella persona senza preavviso, è molto invalidante e stravolge la vita della persona “colpita” e di chi le sta intorno.
Spesso vengono da me in terapia con queste domande (riporto alcune affermazioni di pazienti, i cui nomi sono chiaramente inventati):
(Sara 33a) “dottoressa cosa mi sta succedendo?? Mi sento scoppiare, soffocare,non ce la faccio più!!”
(Valerio 40a.)”prima conducevo una vita normale, ero sempre fuori casa, ora ho paura di sentirmi male e non esco quasi più, sto avendo problemi a lavoro, ho paura di non ritornare più come ero prima…”.
Accelerazione del battito cardiaco, sudorazione, nodo alla gola e pugno allo stomaco, giramenti di testa e senso di nausea…questi sono alcuni tra i sintomi fisici che una persona che soffre d’ansia, purtroppo conosce bene.
Chi ne soffre avverte tale malessere come un “cataclisma esistenziale, come un attacco, una minaccia “incontrollabile” alla propria vita, e le conseguenze spesso sono: ritiro sociale, scoraggiamento, tratti depressivi come conseguenza di tale disagio prolungato nel tempo ect…
Come fare quindi per impedire che l’ansia prenda il sopravvento e si trasformi in Panico?
In primis, anche se costa molta fatica e sforzo, cercare di “accettare” la venuta di tali sintomi nella propria vita, come momento di passaggio, più o meno lungo, ma pur sempre di passaggio.
Sicuramente se la qualità di vita diventa fortemente invalidante, è consigliato un percorso di psicoterapia, che può portare la persona a capire l’origine più profonda di tale disagio e a superarlo.
Come psicoterapeuta cognitivo-interpersonale, accompagno la persona ad una conoscenza più profonda di sè, utilizzando nel colloquio psicologico e nella relazione terapeutica tecniche comportamentali e tecniche di ristrutturazione cognitiva, accompagnando pertanto la persona ansiosa ad abbandonare le proprie aspettative e schemi cognitivi abituali che fungono da “mantenimento” dello stato ansioso invalidante, e a ricercare schemi alternativi più funzionali.
Il lavoro è dunque finalizzato ad una conoscenza adeguata del proprio sè, alla presa di consapevolezza dei propri “copioni di vita” che mantengono attivo il “disagio”. La seconda fase del percorso terapeutico porterà conseguentemente all’eliminazione e/o la riduzione del sintomo e successivamente al raggiungimento di un adeguato adattamento dell’individuo all’ambiente.