Nel linguaggio psicologico viene definito come comportamento il complesso degli atteggiamenti che l’individuo assume in reazione a determinati stimoli ambientali o a bisogni interni, oppure l’attività globale di un soggetto considerata nelle sue manifestazioni oggettive.
I disturbi del comportamento comprendono una serie di condotte definite “esternalizzanti”, in quanto comprendono comportamenti in cui il disagio interno viene rivolto verso l’esterno attraverso condotte disfunzionali come l’aggressività, l’impulsività, la sfida, la violazione delle regole e altre condotte considerate socialmente inappropriate. In età prescolare e scolare, gli accessi comportamentali possono verificarsi in modo isolato e temporaneo, quando ad esempio sono legati ad aspetti situazionali o alla particolare fase di sviluppo in cui si trova il bambino, oppure possono rappresentare dei veri e propri campanelli d’allarme per l’insorgenza di futuri disturbi del comportamento.
La capacità di agire in maniera appropriata rispetto alle norme sociali e di regolare autonomamente il proprio comportamento costituiscono due aspetti basilari dello sviluppo del bambino. Si tratta, tuttavia, di capacità complesse, che vengono acquisite gradualmente nel corso dell’intera infanzia. Fare affidamento sulla presenza dell’adulto nella regolazione delle proprie emozioni e del proprio comportamento è fondamentale per il bambino almeno fino ai tre anni di vita.
Quando un bambino così piccolo è agitato o arrabbiato ha bisogno di una figura di riferimento che possa tranquillizzarlo e che possa fornirgli le strategie più adeguate per risolvere il proprio conflitto interno. Così come nelle situazioni non familiari, se il bambino mostra paura e piange, è l’adulto che provvederà a calmarlo attraverso comportamenti affettuosi e adeguate spiegazioni. Il bambino impara quindi a cogliere i segnali dell’adulto, come le espressioni del viso, le comunicazioni verbali e i gesti, per riuscire a modulare il proprio modo di esprimersi nei vari contesti. Di grande importanza è il momento in cui il bambino passa da una regolazione basata sul supporto esterno dell’adulto ad una vera e propria autoregolazione, ovvero quando il bambino non ha più bisogno di appoggiarsi ad un aiuto esterno e riesce ad avere autocontrollo anche quando l’adulto non è presente.
Il periodo critico per l’acquisizione di tale abilità è compreso solitamente tra i 24 e i 36 mesi, età in cui il bambino inizia a mostrare di saper interiorizzare le regole dell’adulto, di saper attendere per ottenere qualcosa di desiderato e di poter controllare in modo flessibile il proprio comportamento in presenza di cambiamenti ambientali. Verso la fine del secondo anno di vita, inoltre, i bambini cominciano a mostrare di avere consapevolezza dell’esistenza delle norme sociali e della loro possibile violazione.
Attualmente si ritiene che un deficit nell’autoregolazione sia relativamente stabile durante l’infanzia e che giochi un ruolo decisivo nell’insorgenza di alcuni problemi di adattamento e della regolazione del comportamento ad un’età più avanzata. Diversi ricercatori hanno proposto ipotesi differenti rispetto alle dinamiche interne (emotive e cognitive) del bambino, legate alla minore o maggiore capacità di controllare il proprio comportamento. Alcuni studi hanno mostrato che problemi della condotta possono essere legati a:
1) bassi livelli di paura in situazioni potenzialmente dannose e ridotta empatia nei confronti dei propri pari, insieme ad una maggiore impulsività,
2) livelli estremamente alti di attivazione emotiva di fronte a possibili ricompense, specialmente se associati ad un’emozionalità negativa piuttosto alta e a bassi livelli di autocontrollo.
Ciò vuol dire che in questi bambini la disregolazione comportamentale può essere legata ad un’attivazione emotiva debole di fronte a possibili punizioni, che vengono così minimizzate, o ad un’attivazione emotiva molto elevata in presenza di potenziali gratificazioni, che vengono quindi massimizzate. In altri studi emerge, inoltre, come deficit nell’autoregolazione siano associati maggiormente ad un’aggressività di tipo reattivo (risposta difensiva ad una minaccia o provocazione) piuttosto che di tipo proattivo (aggressività espressa per ottenere un vantaggio o dominio sugli altri).Nel primo caso, infatti, il minore mostra difficoltà a regolare le proprie emozioni, ad esempio la propria rabbia e la frustrazione, quando viene provocato da altri. L’incapacità di far fronte a questa estrema attivazione interna conduce così a limitazioni nello sviluppo e nell’uso delle proprie abilità sociali, andando ad inficiare le interazioni e l’instaurarsi di positive relazioni con i genitori e con i pari. Nel secondo caso, invece, quando l’aggressività è innescata senza provocazioni esterne perché è finalizzata all’ottenimento di un guadagno personale, si può parlare di tratti maggiormente orientati alla provocazione e alla sfida e di una difficoltà evidente a mettersi in contatto con le emozioni proprie ed altrui.
Alcune difficoltà nella regolazione del comportamento possono essere osservate già durante l’età prescolare. Questo è un aspetto molto importante in quanto può permettere al genitore, o agli altri adulti che si prendono cura del minore, di attivare interventi tempestivi. Ogni intervento viene pianificato diversamente a seconda del disturbo presentato e in base alle caratteristiche specifiche del bambino e del contesto in cui vive.
Il trattamento dei disturbi comportamentali vede nella valutazione psicologica il suo primo passo, seguita da un intervento centrato sull’attivazione delle risorse e dei fattori protettivi del bambino.
L’ intervento cognitivo-comportamentale in età evolutiva è mirato alla gestione delle difficoltà comportamentali ed emotive del bambino: si avvale di una osservazione delle cause scatenanti e delle conseguenze di questi comportamenti in seguito alla quale si decide quali strategie adottare per poter gestire al meglio tali difficoltà.
L’ABA ha come obiettivo quello di ridurre comportamenti disfunzionali, incrementare l’apprendimento, migliorare l’aspetto comunicativo e l’area della socializzazione.
L’intervento sul bambino è individualizzato, le attività di apprendimento proposte sono strutturate in base alle sue abilità ed ai suoi punti di forza ed organizzate senza mai tralasciare la motivazione del bambino (aspetto fondamentale in tutti i processi di insegnamento e apprendimento).
Rispetto all’area comportamentale, si procede con una attenta osservazione del bambino nei diversi contesti di vita quotidiana al fine di individuare i comportamenti disfunzionali, la loro funzione ed insegnare quindi al bambino delle modalità alternative per poter comunicare in maniera adeguata i propri bisogni.
Area di intervento:
- Disturbo dello Spettro Autistico
- Disturbi del comportamento
- Disturbi della Sfera Emozionale
- Disturbo Oppositivo Provocatorio
- ADHD
Articolo della Dott.ssa Federica Alivernini, Terapista Aba.
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